Prendiamoci cura dei nostri beni comuni con i Patti di collaborazione

Capita, anche spesso, di meravigliarci della bella immagine che ci mostra il monte Titano guardandolo da ogni lato e in tutte le stagioni. È uno dei nostri beni comuni come il panorama che si vede dalla sua cima. I Castelli, i borghi, i parchi, le piazze sono altri beni comuni materiali. La nostra storia, la democrazia, la coesione sociale, la partecipazione alla vita sociale e politica, l’immagine con cui ci presentiamo al mondo sono beni comuni immateriali. Anche se spesso ce ne dimentichiamo, ognuno di noi ne ha una parte di responsabilità. Questa responsabilità adesso la possiamo esprimere, non solo, indirettamente attraverso la delega, le rivendicazioni e il dialogo con l’ amministrazione, ma anche direttamente con i Patti di collaborazione che sono stati adottati, anche a San Marino, con il regolamento 2 agosto 2021 n.11.

Questo strumento è stato emanato per la prima volta in Italia nel 2014 a Bologna e si è poi diffuso con successo in oltre 250 città. Si tratta di una forma di collaborazione tra amministrazione e cittadini su un piano paritario con azioni di interesse generale, che riguardano la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa di beni comuni materiali e immateriali che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità, dei suoi membri, e all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future.

Il regolamento sammarinese, prevede un periodo di sperimentazione di due anni, e pur non escludendo i beni comuni immateriali, si accentra su quelli materiali.

ArengoLab crede che invece questo strumento possa avere un effetto rilevante solo se al bene comune venisse attribuito il suo significato più ampio. È fondamentale poi che l’amministrazione assegnasse ad una Unità Organizzativa specifica il compito di diffondere, favorire e monitorare l’uso di questo strumento.

I Patti di collaborazione potrebbero essere utili alle associazioni per incidere meglio sul territorio nei più svariati settori, essendogli riconosciuto, col Patto, uno specifico ruolo pubblico.

ArengoLab, che sta preparando una legge di iniziativa popolare per promuovere la democrazia partecipativa e deliberativa, ritiene che questi patti possano costituire un primo passo in tale direzione. Bisogna però crederci. Lo dovrebbe fare primariamente l’Amministrazione pubblica aprendosi e investendo energie su questo nuovo strumento. Lo dovrebbero fare le associazioni e i singoli cittadini ideando specifici patti consoni alle loro finalità e possibilità e utili per il Paese.

Bisogna provarci, è una nostra responsabilità.

Amministrazione Condivisa e Patti di collaborazione

L’amministrazione condivisa è una formula organizzativa basata sulla collaborazione tra amministrazione e i cittadini.
La teoria su cui si fonda questo modello fu esposta per la prima volta da Gregorio Arena nel 1997.
La novità del modello risiede nella parità (orizzontalità) tra cittadini e istituzioni. Questo modello consente infatti al cittadino e all’amministrazione pubblica di svolgere su un piano paritario azioni di interesse generale, che riguardano la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa di beni comuni.
L’interesse generale è quindi principio basilare, senza il quale non può esserci amministrazione condivisa. Amministrazione condivisa significa prendersi cura dei beni comuni, ovvero dei beni materiali e immateriali, che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità, dei suoi membri, e all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future.
L’amministrazione condivisa si contrappone idealmente al modello di amministrazione tradizionale imperniato su rapporti verticali asimmetrici, autoritativo e gerarchico. D’altra parte però l’amministrazione condivisa non si sostituisce ad altri modelli preesistenti, ma vi si affianca. E’ bene ribadire che l’amministrazione tradizionale e i suoi poteri (autorizzativi, concessori, sanzionatori e ordinatori) restano. Tuttavia attraverso la l’amministrazione condivisa si facilita l’impegno di chi vuole dare il proprio contributo per la cura dei beni comuni.
L’ipotesi di fondo è che i cittadini attivi siano una risorsa vivace, intraprendente, capace di affrontare ostacoli, e portatori di capitale sociale. Grazie a queste risorse i cittadini attivi possono uscire dal ruolo passivo di amministrati, e diventare co-amministratori, soggetti che integrano le proprie risorse con quelle di cui è dotata l’amministrazione, e si assumono una parte di responsabilità nel risolvere problemi generali.
Il rapporto che si instaura si fonda sulla fiducia e sul rispetto, comportando un radicale cambiamento nel metodo di lavoro e approccio dell’amministrazione pubblica, che deve considerare i cittadini come alleati per risolvere problemi: è infatti nell’interesse comune attingere alle risorse di cui i cittadini sono portatori.
Un rapporto di questo tipo permette inoltre di accrescere nelle persone l’appartenenza ai propri luoghi di vita attraverso la qualità delle relazioni con gli altri.
Chi sono i cittadini i attivi? Sono tutti i cittadini, singoli, o associati e collettivi, che a prescindere dai requisiti riguardanti la residenza, o la cittadinanza, si attivano per lo svolgimento di attività di cura dei beni comuni e dell’interesse generale.
Gli strumenti per la collaborazione tra cittadini e amministrazioni possono assumere svariate forme. A titolo esemplificativo si ricorda il bilancio partecipativo (nato a Porto Alegre e ripreso ad esempio dalla Regione Toscana), l’affidamento di spazi in gestione come avviene a Napoli, passando per interventi di cura e rigenerazione sullo schema di Patti di collaborazione. Quest’ultima è una pratica che si sta diffondendo velocemente nelle città italiane, dove si contano oltre 400 regolamenti approvati e oltre 4000 patti sottoscritti (Labsus, 2020). Queste esperienze sono riconosciute a livello internazionale come buone pratiche, e diverse città nel mondo stanno attivando sperimentazioni in questo senso. I patti sono stati previsti per la prima volta a Bologna nel 2014 e si pongono come strumento utile a mettere a frutto il potenziale dei cittadini attivi, che diviene risorsa per l’efficace cura dei beni comuni.
Questo modello organizzativo dovrebbe essere disciplinato attraverso un regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni , che permetta di avere chiarezza di rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Questo modello dovrebbe inoltre essere basato su relazioni di collaborazione e condivisione, ispirandosi a valori e principi generali quali fiducia reciproca, pubblicità, trasparenza, responsabilità, inclusività, apertura e pari opportunità, sostenibilità, proporzionalità, prossimità.
Il patto in sé rappresenta invece l’atto amministrativo negoziale, che fornisce una cornice legale alle pratiche sociali prima informali di cura, e che deve essere concepito entro il quadro legale del regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni. Attraverso il patto, l’amministrazione e i cittadini attivi concordano l’ambito degli interventi di cura dei beni comuni, regolando gli aspetti del rapporto collaborativo, quali l’interesse generale da perseguire, la tempistica, le modalità di azione, il ruolo e i reciproci impegni, le forme di trasparenza, e altri ancora.
I patti di collaborazione rappresentano uno strumento particolarmente flessibile, che si presta sia per azioni di cura ordinarie che complesse, ovvero patti che hanno come oggetto interventi di cura o rigenerazione su spazi e beni comuni di significativo valore (storico, culturale, o economico), e che quindi implicano la messa a punto di attività complesse o innovative. Da ciò ne consegue una maggiore complessità dell’iter procedimentale, che dovrebbe coinvolgere anche il livello politico.
L’amministrazione condivisa in conclusione permette di configurare forme inedite di collaborazione, consentendo ai cittadini di esercitare a pieno i propri diritti civili e sociali, e dunque, di realizzare forme di democrazia partecipativa (Cainello, 2018); lo strumento del patto di collaborazione permette inoltre di avere chiarezza di rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, rispetto ad attività di cura dei beni comuni.